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ECOWAS – CEDEAO e Progetto NourDign, per garantire dignità alle donne Africane

Progetto ECOWAS - CEDEAO e NourDign dignità delle donne in Africa

ECOWAS / CEDEAO e Progetto NourDign, per garantire dignità alle donne Africane

Autrice : Dott.sa Maria Luisa Spagnol
Giugno 2015

I continui sbarchi di profughi sulle coste italiane e greche pongono in maniera pressante il problema dell’immigrazione, problema al quale l’Europa non sembra essere in grado di dare una risposta adeguata: è evidente che l’unica soluzione non può essere quella di un’accoglienza incondizionata di un flusso migratorio senza regole.

Alla politica del malaffare e alle forze oscure della criminalità organizzata nella gestione della problematica è possibile rispondere con azioni più concrete ed efficaci come quelle dello sviluppo in loco. Nell’ambito dei progetti di cooperazione internazionale si distingue il Progetto NourDign, fortemente voluto dall’associazione ADA e ECOWAS gestito completamente dall‘IDA, un progetto di carattere socio-economico che mira a preservare l’indipendenza e la dignità delle donne africane non riducendo il tutto ad una semplice elemosina “lava coscienza” ma garantendo comunque anche delle opportunità per gli investitori italiani. A ECOWAS, nato da un progetto formulato nel lontano 1964 dall’allora presidente della Liberia William Tubman, aderiscono attualmente sedici stati dell’Africa occidentale.

Per garantire il successo del progetto è prima di tutto necessaria la predisposizione di una strategia articolata e complessa capace di individuare i bisogni della popolazione locale per poter migliorare la stessa qualità della vita. Successivamente l’attenzione deve essere focalizzata sul trasferimento delle conoscenze e sulla formazione dei lavoratori attraverso un’azione coordinata e una partecipazione attiva delle istituzioni locali e degli organismi attivi della società come le banche nell’erogazione del credito.

La riuscita di un progetto di cooperazione non si limita alla fornitura di uno strumento, di un bene materiale quale potrebbe essere un macchinario. La chiave del successo risiede in realtà nel trasferimento del metodo, delle conoscenze e della mentalità delle tecniche consolidate delle cooperative europee che può avvenire solo formando una classe docente locale, sempre nel rispetto dell’esperienza della storia e delle tradizioni dei popoli locali. I primi progetti pilota, in corso di realizzazione in Costa d’Avorio e Senegal, sono incentrati sul processo di trasformazione della manioca, del mango, dell’anacardio, dell’arachide e del girasole senza dimenticare lo sviluppo del settore relativo all’allevamento finalizzato alla riduzione della dipendenza di questi paesi dall’importazione di carni e derivati.

Nourdign è uno dei progetti pilota tipo che prevede la fornitura di macchinari e materiali nonché la manutenzione degli stessi e un preciso percorso di formazione, dal docente professionale al tecnico locale. La fattibilità del progetto, comunque, non può prescindere dall’analisi di mercato, dall’individuazione dei bisogni delle popolazioni locali, dalla ricerca dei partner e dalla scelta del parco fornitori. La formula ipotizzata prevede una promessa occupazionale di due / tre donne, che si alternano su turni di otto ore, per ognuna delle cinque unità produttive, garantendo così un reddito per almeno dieci / quindici famiglie.
I progetti di cooperazione come quello a cui si fa riferimento rappresentano una delle possibili risposte al problema attuale dell’immigrazione.

NOTE :
- ECOWAS in inglese – Economic Community of West African States
- CEDEAO in francese – Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest

FONTI :
- http://www.ecowas.int/
- http://www.nourdign.org/invest_italian-version.html

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Paesi in via di sviluppo, Come uscire dalla trappola della povertà?

Paesi in via di sviluppo, Come uscire dalla trappola della povertà

Paesi in via di sviluppo, Come uscire dalla trappola della povertà?

Autore: Pierre Varasi
Gennaio 2015

2,5 miliardi di persone nel mondo vivono sotto la soglia di povertà, pari a 2$ al giorno. 1,3 miliardi vivono sotto la soglia di povertà estrema, cioè con meno di 1,25$ al giorno. L’Africa sud-sahariana rappresenta da sola il 46,8% di questi (dati del 2011). Subito dopo si trova il Sud Asia, con il 24,5%.

Interrogarsi sulle origini e sulle cause di questo fenomeno è ovviamente importante, ma queste non sono semplici da trovare: alcuni studiosi danno la colpa al loro ‘naturale sottosviluppo culturale’, altri alle colonizzazione europee, altri ancora alle condizioni climatiche e del territorio, in ogni caso teorie poco conciliabili. Per quanto si potrebbero trarre argomenti a favore di ognuna di queste, penso sia più importante capire cosa si possa fare e non solamente guardarsi indietro.
Gli stati sviluppati provano da anni ormai ad aiutare questi paesi.

Dalla fine della seconda guerra mondiale, si è avuta una grande accelerazione nella nascita di istituzioni, movimenti e associazioni per lo sviluppo. Ma a distanza di quasi 70 anni gli aiuti si sono rivelati quasi inefficaci. Ciò che hanno sbagliato non è la quantità o la forma degli aiuti, quanto la modalità con cui sono stati consegnati, e quello che questi aiuti hanno comportato. In particolare, in moltissimi di questi stati non vengono rispettate tradizioni e cultura locale, ma semplicemente importati strumenti e anche costumi occidentali, senza tener presente delle unicità di ognuno dei paesi riceventi.

Ancora più importante è considerare che all’aiuto si è quasi sempre legato un qualche tipo di interesse: economico, condizionato a specifiche politiche e programmi, o anche all’acquisto di prodotti dal paese portatore di aiuti. Simili critiche possono essere fatte alle istituzioni di Bretton Woods: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio. I paesi in via di sviluppo sottolineano come queste siano controllate ed influenzate dalle potenze mondiali, che impongono un’unica visione economica, quella neo-liberale; che minano la sovranità statale con le loro imposizioni; che concedono capitali, senza però assumersi la responsabilità dei lavoratori e dei migranti che qualsiasi trasformazione economica comporta. Infine, che applicano gli stessi strumenti ovunque e allo stesso modo.

Tutto questo non toglie però che degli aiuti siano necessari. In un paese povero la maggior parte degli introiti viene speso nel consumo, e questo riduce i risparmi. Ne seguono anche minor investimenti, fondi per innovazioni tecnologiche e non solo, cosa che porta ad una bassa produzione ed una crescita lenta. Questa è la trappola della povertà, definita così perché di rimando la bassa produzione porterà nuovamente a consumi limitati ma che costituiranno la maggior parte degli introiti. Ciò che a questo punto può cambiare le cose è solo un investimento esterno, che, quando ben sfruttato, può portare allo sviluppo di settori strategici e del turismo. Da questo principio deriva l’importanza del commercio, che dagli anni ’50 è costantemente aumentato, portando novità e cambiamenti in tutto il mondo.

Non mancano poi i difensori delle istituzioni sopra citate: gli stati non sono costretti ad accettare i crediti loro proposti, ma soprattutto, è davvero giusto lasciare che questi vengano usati liberamente da nazioni spesso corrotte e piene di problemi anche a livello politico e giuridico? Inoltre, con il tempo sono nati diversi movimenti che vorrebbero la cancellazione dei debiti per i paesi del terzo mondo, a dimostrazione del fatto che molti si sono ormai accorti degli errori commessi in passato e che questo debito vada a soffocare maggiormente le loro economie.

Come far uscire quindi questi paesi dalla trappola della povertà? Utilizzando sia prestiti da parte di stati e istituzioni, e gestendoli in modo controllato ma non necessariamente legato a clausole predefinite; ma soprattutto tramite l’investimento privato. Sigrid Kaag, assistente amministratore del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), sostiene che senza investimento privato non ci sarà alcuna crescita significativa. Il settore privato porterebbe infatti conoscenze avanzate, innovazioni, modelli di commercio e produzione testati. Soltanto condividendo queste conoscenze sarà possibile un vero sviluppo nel Terzo Mondo.

La verità è che per quanto ci si possa sforzare, mandare soldi non basta per migliorare le condizioni di vita dei paesi in via di sviluppo. Lo stesso presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim ammette che i fondi pubblici non siano sufficienti, mentre un ruolo maggiore dato ai privati porterebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro. Non sarebbero solo posti di lavoro ad essere creati, ma crescerebbero i salari. Questo porterebbe di conseguenza ad un miglioramento nelle condizioni di salute e vita, nei livelli di istruzione e nella creazione di infrastrutture. Le nuove aziende, trasferitesi da poco, genererebbero poi un nuovo introito per il governo, sotto forma di tasse; sarebbero competitive per il mercato e per questo emulate da quelle già presenti sul territorio, portando ad una maggiore produttività.

A lungo termine, tutto ciò renderebbe migliore la qualità dei prodotti, allo stesso tempo rendendoli più economici. Le fasce più povere della popolazione sono già un nuovo mercato per molte aziende statunitensi in India e Brasile, per esempio. Inoltre, non solo l’investimento privato deve concentrarsi in queste aree per tentare di aiutarle, ma anche per crescere: dalla crisi economica del 2008 la crescita del terzo mondo è stata un motore per le nostre economie.

FONTI:

- Worldbank.org
- UNDP.org
- IFC.org
- Baker, “Shaping the Developing World”

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Europa ed Immigrazione

Immigrazione: La sfida per l’Europa

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LA SFIDA EUROPEA E GLOBALE IN TEMA DI IMMIGRAZIONE

Autrice: Elisa Mariani
Settembre 2016

Croce e delizia del nostro secolo, il fenomeno dell’immigrazione continua ad essere al centro della scena a e a sollevare questioni rilevanti. Rimane infatti un punto interrogativo sui benefici e sulle problematiche apportati dai flussi migratori.

Secondo i dati EUROSTAT di gennaio 2014, nell’Unione Europea i residenti stranieri sarebbero 20,4 milioni, presenti soprattutto in Germania, Italia, Spagna e Francia. Nel periodo 2007 – 2014 è stato inoltre registrato in Italia un aumento del 3% della quota di cittadini stranieri sulla popolazione residente che corrisponde a due milioni di unità. Nel 2013 il flusso di immigrazione in Italia era dato per il 9,2% da rimpatri di cittadini espatriati, per il 25,2% da altri flussi all’interno dell’Unione Europea e per il 65,5% da flussi extra UE. Quest’ultimo dato è il più alto di tutti i paesi UE.

Ciò a testimonianza dell’importanza della popolazione straniera in Italia che costituisce l’8,1% della popolazione complessiva. Inoltre, in Italia gli stranieri compresi tra i 15 ei 34 anni nel 2014 si attestano al 34,3% contro il 21,3% degli italiani, evidenziando una popolazione giovane che rappresenta una risorsa potenziale per il nostro paese. Tuttavia sovente il dibattito pubblico si concentra unicamente sugli aspetti negativi legati a tale tematica che offre invece diversi spunti di riflessione.

Ad ogni modo, come già menzionato, non è solo l’Italia a fare i conti con tale fenomeno, che negli ultimi anni è diventato il principale argomento di discussione nei dibattiti dell’Unione Europea e mondiali. Proprio a partire da ieri è iniziato il Summit sulle Migrazioni ideato da Obama a cui prenderanno parte 150 capi di Stato, in occasione della 71esima assemblea generale delle Nazioni Unite, che vedrà nei prossimi giorni anche lo svolgimento del Vertice ONU sui rifugiati. All’apertura del Summit, il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon ha affermato: “Migranti e rifugiati non sono un peso, ma un grande potenziale se solo venisse sbloccato”.

L’obiettivo rimane quello fissato e anelato dalle istituzioni internazionali fino ad oggi: la risoluzione della crisi prodotta dagli eccessivi flussi migratori sia regolari che clandestini dovuti a guerre e carestie e di fenomeni connessi a tale drammatica situazione quali terrorismo, sfruttamento, salvataggio dei profughi e adozione di misure comuni a tutti gli Stati riguardo la gestione dell’attraversamento delle frontiere. Tale strategia è volta al raggiungimento, entro il 2018, dei Global Compact sui Migranti e sui Rifugiati.

L’Unione Europea e i suoi Stati Membri arrivano al Summit sulle Migrazioni delle Nazioni Unite con uno stallo istituzionale riguardo tale tematica, che ha visto una perdita di potere decisionale e di azione da parte del Consiglio Europeo e della Commissione Europea, come confermato in un’intervista dal Vice Ministro degli Esteri Italiano con delega all’immigrazione. Tale situazione di frantumazione del potere decisionale europeo si è acuita soprattutto a seguito dell’insuccesso del Vertice di Bratislava, in cui, stando alle dichiarazioni del Premier Italiano Matteo Renzi si è volutamente evitato di parlare in modo approfondito di un argomento in programma come la questione immigrazione per nascondere e lasciare irrisolti i ben noti disaccordi a riguardo tra gli Stati Membri.

In tale occasione si è vista ancora una volta la mancanza di compattezza dell’Unione, con Polonia, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca fautori di un piano personale che prevede la richiesta di più poteri decisionali ai singoli stati rispetto all’UE e l’indisponibilità a partecipare ad un eventuale proposta di quote obbligatorie nell’accoglienza dei rifugiati, sostenendo la solidarietà flessibile, ovvero il libero contributo degli Stati Membri al controllo dei flussi migratori secondo le proprie risorse. Tale piano rappresenta un passo in avanti accolto positivamente dalla cancelliera Angela Merkel, che tuttavia rischia per l’ennesima volta di non sfociare in un accordo comune.

Nonostante le note negative, il Vertice di Bratislava ha portato alla stesura di un documento comprensivo di tabella di marcia che mostra alcune misure concrete da attuare in materia di immigrazione. Tra queste l’attuazione della dichiarazione UE-Turchia per il supporto ai Paesi dei Balcani Occidentali, l’istituzione ufficiale e la piena operatività della guardia costiera e di frontiera europea entro la fine dell’anno, accordi con paesi terzi per la decrescita dell’immigrazione clandestina e per l’incremento dei tassi di rimpatrio e la prosecuzione dei lavori per raggiungere il pieno consenso degli Stati Membri dell’UE riguardo una politica migratoria comune.

FONTI articolo “LA SFIDA EUROPEA E GLOBALE IN TEMA DI IMMIGRAZIONE”:

- consilium.europa.eu
- vita.it
- eunews.it
- ansamed.info
- cliclavoro.gov.it

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