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EU JAPAN

EU JAPAN – Economic partnership agreement

EU JAPAN economic partnership agreement

EU JAPAN : IL NUOVO ACCORDO DI PARTENARIATO ECONOMICO

Autore: Lorenzo Giusepponi
Gennaio 2018

D’ora in poi vi saranno maggiori opportunità per le imprese europee e giapponesi di accedere ai rispettivi mercati di export. Il 7 dicembre, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker e il premier giapponese Shinzo Abe hanno affermato che è ormai prossima la conclusione del negoziato sull’accordo di libero scambio che era iniziato del 2013 e che rappresenta il 30% del PIL mondiale, nonché un blocco di 600 milioni di persone, il che rende evidente il desiderio comune a entrambe le parti di mostrare a tutto il mondo un atteggiamento favorevole al libero scambio e contrario al protezionismo. Ora si aprirà una complessa procedura per la firma ufficiale, attesa nella prossima estate, che vede la discussione delle rimanenti questioni tecniche fino al raggiungimento di un testo finale. Successivamente, l’accordo dovrà essere approvato sia dal Parlamento Europeo che dai parlamenti dei singoli Stati membri. Entrambe le parti contano sull’entrata in vigore dell’accordo entro gli inizi del 2019.

Quadro generale

Le esportazioni dell’UE in Giappone ammontano già a 58 miliardi di euro per quanto riguarda i beni e a 28 miliardi per i servizi. Inoltre il Giappone si trova al quarto posto tra i Paesi verso i quali sono maggiormente dirette le esportazioni agricole dell’UE. Grazie all’accordo di partenariato economico, le comunità agricole e i produttori di alimenti e di bevande beneficeranno di un accesso agevolato al mercato giapponese, con una maggiore possibilità di lanciare i loro prodotti su un mercato di 127 milioni di consumatori.

Settore alimentare

I prodotti europei di alta qualità come vini, formaggi, cioccolato, carni suine e pasta sono molto apprezzati dai consumatori giapponesi, ma il Giappone impone su di essi dazi doganali elevati: dal 30 al 40% sul formaggio, 38,5% per le carni bovine, 15% sui vini, fino al 24% sulla pasta e fino al 30% sul cioccolato. Grazie all’accordo, il Giappone eliminerà i dazi su oltre il 90% delle esportazioni agricole dell’UE, e riconoscerà 205 indicazioni geografiche europee scelte dagli Stati membri per il loro reale o potenziale valore di esportazione. Di conseguenza, solo i prodotti riconosciuti potranno essere venduti in Giappone. Ciò renderà illegale vendere prodotti di imitazione e vi sarà una garanzia di qualità per i consumatori giapponesi.

Sicurezza alimentare

Le norme giapponesi sulla sicurezza alimentare, come quelle europee, sono altamente esigenti. Il Giappone, ad esempio, non permette che si faccia uso di ormoni della crescita nella produzione di carni bovine, e la legislazione che regola gli OGM è molto importante per i consumatori giapponesi. Parallelamente agli altri accordi commerciali dell’UE, l’accordo con il Giappone non metterà minimamente a rischio il grado di tutela europeo in materia di sicurezza alimentare. Tutti i prodotti di origine animale importati dal Giappone dovranno essere accompagnati da un certificato veterinario, come già accade oggi, e solo un’autorità competente in Giappone potrà rilasciare tale certificato. Ad essa, la Commissione Europea ha ufficialmente riconosciuto la competenza di certificare la conformità agli obblighi di importazione dell’UE. Inoltre, il Giappone e l’UE hanno stabilito l’istituzione di un comitato misto con lo scopo di affrontare il prima possibile la questione delle misure sanitarie e fitosanitarie.

Esportazioni

Il Giappone è la quarta economia mondiale e il secondo maggior partner commerciale asiatico dell’UE, preceduto solo dalla Cina. Tuttavia, per l’Europa, il Giappone è solo il settimo mercato di esportazione. Secondo le previsioni, l’agevolazione delle esportazioni in Giappone produrrà vantaggi per le imprese dell’UE che producono e commerciano, oltre ai prodotti agroalimentari, anche macchinari elettrici, prodotti farmaceutici, dispositivi medici, mezzi di trasporto, prodotti tessili e abbigliamento. Le esportazioni europee in Giappone di prodotti alimentari trasformati potrebbero aumentare persino del 180%, il che equivale a una crescita delle vendite fino a 10 miliardi di euro. Inoltre, poiché il Giappone ha accettato di adeguare le norme relative alle auto a quelle internazionali, applicate anche dall’UE, per i costruttori di automobili dell’UE sarà più facile vendere i loro veicoli in Giappone. Infine, dal momento che ad ogni miliardo di euro di esportazioni dell’UE verso il Giappone corrispondono 14.000 posti di lavoro in Europa, quanto più l’Europa esporta, tanti più posti di lavoro sarà possibile creare o conservare.

Appalti

Si stima che nei sistemi economici come quello europeo e giapponese, l’acquisto di beni e servizi da parte dello Stato costituisca oltre il 15% dell’economia totale. Si tratta di un mercato vasto e ricco di opportunità commerciali. Grazie all’accordo, l’UE avrà un migliore accesso alle gare d’appalto giapponesi a livello di amministrazione centrale, regionale e locale. Una delle priorità dell’UE nei negoziati era quella di poter accedere al mercato giapponese delle ferrovie più efficacemente. Il Giappone ha in gran parte accettato, e ha anche deciso di aprire gli appalti agli offerenti dell’UE per ospedali, istituzioni accademiche e distribuzione di energia elettrica, nonché di concedere ai fornitori europei un accesso indiscriminato al mercato degli appalti di 48 città che rappresentano il 15% della popolazione giapponese. Da parte sua, l’UE aprirà parzialmente il proprio mercato degli impianti ferroviari, e ha concesso al Giappone un migliore accesso agli appalti indetti dalle autorità comunali.

Protezione dell’ambiente

L’UE si impegna a garantire che la sua politica commerciale favorisca lo sviluppo sostenibile. L’UE e il Giappone si impegneranno a: conservare e gestire le risorse naturali in maniera sostenibile, affrontare le problematiche della biodiversità, anche contrastando il commercio illegale di specie selvatiche, praticare una silvicoltura sostenibile, anche combattendo il disboscamento illegale, e praticare una pesca sostenibile.

Fonti articolo EU JAPAN :

- ec.europa.eu
- www.ilsole24ore.com
- Video e foto

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Accordo di Parigi

“ Accordo di Parigi: le sorti del mutamento climatico ”

Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici

Accordo di Parigi: le sorti del mutamento climatico

Autore: Giulia Turchetti
Dicembre 2017

Alla ventunesima conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, ben 195 Paesi hanno ratificato il primo accordo universale e vincolante dal punto di vista giuridico sul clima “Accordo di Parigi”.

Per “Accordo di Parigi” si intende un accordo globale sui cambiamenti climatici, volto alla creazione di un piano d’azione per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2ºC. La stipulazione di questo accordo deriva dall’esigenza di trovare un rimedio ai cambiamenti climatici: una questione importante a livello globale con possibili ripercussioni per tutti.

A causa dell’esigua partecipazione al protocollo di Kyoto e alla mancanza di un accordo a Copenaghen nel 2009, l’Unione europea ha dato il suo contributo nella realizzazione di un’ampia coalizione di Paesi sviluppati e in via di sviluppo a favore di obiettivi prestigiosi. Questo ha chiaramente determinato il risultato positivo della conferenza di Parigi.

I governi dei Paesi firmatari hanno quindi stabilito di riunirsi ogni cinque anni per stabilire obiettivi più ambiziosi in base alle conoscenze scientifiche, riferire agli altri Stati membri e all’opinione pubblica cosa stanno facendo per il raggiungimento degli obiettivi fissati, e segnalare i progressi compiuti attraverso un sistema basato sulla trasparenza e la responsabilità.

Anche in Germania, a Bonn, si è tenuta il novembre scorso la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima, più semplicemente nota come Cop23: ovvero il vertice delle promesse prese nella Cop21 a Parigi e da mantenere come impegno civile nel futuro. Un impegno che viene sentito con urgenza e necessità allo stesso tempo: infatti gli scienziati parlano di come la Terra stia sperimentando il periodo più caldo nella storia della civilizzazione e che la causa principale di tale fenomeno è proprio l’uomo.

Il tempo rimasto per agire purtroppo è poco ed è necessario intraprendere la strada di una rivoluzione climatica veloce ed ambiziosa, concretizzando la visione di Parigi, dandole gambe e corpo.

L’obiettivo principale dell’ Accordo di Parigi è quello di contenere gli effetti del surriscaldamento globale, limitando le conseguenze dannose derivanti dai cambiamenti climatici indotti dall’uomo, a partire dal 2020. A tal proposito i Paesi industrializzati contribuiranno allo stanziamento di un fondo annuo “Green Climate Fund” di 100 miliardi per il trasferimento di tecnologie pulite nei Paesi che hanno bisogno di un sostegno per avviarsi verso il cammino della green economy.

Malgrado proprio gli Stati Uniti si siano fatti promotori di questo importante obiettivo, in quanto classificabili tra i maggiori inquinatori responsabili del mutamento climatico, oggi potrebbero abbandonare la scena. Con una nuova amministrazione, guidata da Donald Trump, gli Stati Uniti si ritirano nel loro isolazionismo perché lo stesso Presidente ha più volte affermato che l’accordo di Parigi sarebbe un accordo squilibrato, che mina gli interessi americani e costituisce un ostacolo alla realizzazione del fare dell’ “America great again”.

Congiuntamente al ritiro si è accompagnata la scomparsa di un’intera sezione sul cambiamento climatico dal sito della Casa Bianca, sostituita da una dedicata a un piano energetico per l’America. L’intento di Trump è quello di eliminare politiche come il “Climate Action Plan”, da lui ritenute pericolose ed inutili. Esso consiste nel piano di riduzione delle emissioni sottoscritto dal suo predecessore Obama.

Tuttavia non si può uscire in modo unilaterale e lineare dall’Accordo di Parigi. Infatti esso contempla un margine di tre anni e un preavviso di un anno, il che fa quattro anni in tutto. Trascorso questo periodo di tempo sarà giunta la fine del mandato di Donald Trump.

Quindi la posizione degli Stati Uniti in materia di cambiamenti climatici potrebbe essere nuovamente negoziata e non essere definitiva, anche perché l’ipotetica distruzione dell’Accordo di Parigi, equivale alla distruzione della Terra stessa.

FONTI ” ACCORDO DI PARIGI “:

Europa.eu
Nazioni Unite
Wikipedia

TESTO ORIGINALE DELL’ ACCORDO DI PARIGI:

Accordo di Parigi English Version

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Trump – IL PIANO ECONOMICO DI DONALD TRUMP

Trump – IL PIANO ECONOMICO DI DONALD TRUMP

Trump piano economico per gli Stati Uniti d America

Redazione e traduzione a cura di Lorenzo Giusepponi
Dicembre 2017

Dopo una lunga e ardua campagna contro Hillary Clinton, Donald Trump, il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti ha vinto le elezioni con la sua promessa di “ rendere l’ America di nuovo grande ”. Il repubblicano è ora il 45 esimo presidente, e il suo primo mandato andrà dal 2017 al 2021. Trump è entrato nella Casa Bianca affiancato da una maggioranza repubblicana in entrambe le Camere del Congresso, ma i precedenti scontri con i leader del partito potrebbero rappresentare un ostacolo per la riuscita del suo programma legislativo. Inoltre i democratici, nonostante lo svantaggio numerico in Congresso, potrebbero agire per bloccare alcune delle sue proposte. Da una lato, i sostenitori di Trump vedono in lui la possibilità di cambiare un sistema che, secondo molti americani, avrebbe aumentato le disuguaglianze e ridotto gli standard di vita, dall’altro la minaccia di nuove barriere commerciali e altre politiche protezionistiche ha fatto preoccupare gli investitori .

Reazioni dopo la notizia della vittoria

L’incoerenza di Trump circa le sue politiche ha creato incertezza, il che spiega la reazione del mercato dopo la sua vittoria. Gli indici Dow Jones, S&P 500 e Nasdaq, così come i mercati azionari europei, giapponesi e cinesi hanno iniziato a precipitare. In seguito, ad eccezione del peso messicano, queste reazioni iniziali hanno preso la direzione inversa.

Crescita

Trump sostiene la teoria dell’economia dell’ offerta . Secondo questa teoria, un aumento della produzione porta a una crescita economica. Tale teoria prevede una politica fiscale basata sulle imprese e incentrata sugli sgravi fiscali . Le aziende beneficiano degli sgravi fiscali e sono incoraggiate ad assumere più lavoratori . Questo produce una crescita dell’ occupazione che, a sua volta, genera più domanda e, di conseguenza, ulteriore crescita . Ecco perché Trump ha promesso di innalzare il PIL dall’ 1 % al 4 %, e persino di più, ovvero fino al 6 % annuo. Tuttavia, Arthur Laffer, ideatore della teoria, sostiene che le aliquote fiscali dovrebbero essere più alte di quanto lo sono oggi affinché la strategia abbia successo. Il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, è meno ottimista, e ha riferito che l’obiettivo dell’amministrazione è quello del 3 % . La Tax Foundation è invece più fiduciosa riguardo alle aspettative di Trump . Le sue previsioni mostrano che queste politiche porterebbero a una crescita del PIL del 6,9 % e dell’ 8,2 % nel lungo termine .

Occupazione

Nel settembre 2016, il Peterson Institute for International Economics ( PIIE ) ha scritto che, nel caso in cui venissero messe in atto, le politiche di Trump innescherebbero una guerra commerciale che porterebbe alla recessione e che comporterebbe la perdita di più di 4 milioni di posti di lavoro nel settore privato. Moody’s, che non la pensa molto diversamente, sostiene che le politiche di Trump avrebbero come risultato la perdita di 3,5 milioni di posti di lavoro nel giro di quattro anni, con un possibile aumento della disoccupazione al 7 % rispetto al 4,9 % attuale. Trump ha affermato che Giappone, Cina e Messico stanno rubando il lavoro agli americani, e che l’eliminazione dell’ esternalizzazione creerebbe più opportunità occupazionali . Trump non ha tutti i torti nel dire questo. Tra il 1998 e il 2010, infatti, gli Stati Uniti hanno perso il 34 % dei posti di lavoro nell’ industria manifatturiera. Molti di questi sono stati trasferiti all’ estero da aziende americane per questioni di risparmio, molti altri sono stati soppiantati da nuove tecnologie, come la robotica, l’intelligenza artificiale e la bioingegneria. Dei corsi di formazione sponsorizzati dal governo in questi settori potrebbero essere una soluzione più efficace rispetto alla guerra commerciale di Trump .

Tasse

Trump ha promesso sgravi fiscali a tutte le fasce di reddito e di far sì che i ricchi paghino le tasse, nonostante egli stesso abbia ricevuto varie critiche per aver apparentemente evaso le imposte sui redditi per circa vent ’ anni. Tuttavia, un’analisi della Tax Foundation ha scoperto che il piano fiscale di Trump aiuterebbe in modo sproporzionato gli americani più ricchi, permettendogli di risparmiare milioni. Il 17 dicembre, i repubblicani di Camera e Senato hanno emanato un disegno di legge che, se approvato, abbasserebbe la maggior parte delle aliquote, lasciando immutata l’attuale struttura di sette scaglioni di imposte sul reddito delle persone fisiche. Inoltre, abolirebbe, a partire dal 2019, la legge che prevede una multa per coloro che non hanno una copertura assicurativa. Inoltre, cambierebbe il metodo di calcolo dell’inflazione e fisserebbe l’aliquota delle imposte sui redditi delle società al 21 %.

Scambi commerciali

Trump ha affermato che decenni di politiche di libero scambio hanno portato al collasso dell’ industria manifatturiera americana, e ha quindi promesso di negoziare accordi commerciali appropriati che favoriscano l’occupazione, aumentino i salari e abbassino il deficit commerciale degli USA .
• Messico e NAFTA : il Messico è stato oggetto di una dura critica. Trump ha ripetutamente minacciato di imporre tariffe del 35 % sulle automobili importate dal Messico. Nel 2015, i veicoli erano la più grande categoria di beni importati dal Messico . Nello stesso anno gli USA hanno registrato un deficit nei confronti del Messico di $ 67,5 miliardi per quanto riguarda il commercio di beni e un surplus di $ 9,6 miliardi quanto ai servizi . Trump ha anche criticato l’Accordo nordamericano per il libero scambio ( NAFTA ), che lui stesso ha soprannominato il “ peggior accordo commerciale mai approvato nel Paese ”. Ci si aspetta quindi che Trump richieda una rinegoziazione del NAFTA o il ritiro da esso. Secondo l’articolo 2205 del trattato, egli può decidere di ritirarsi dall’ accordo con sei mesi di preavviso, tuttavia, secondo alcuni esperti, avrebbe bisogno dell’appoggio del Congresso.
• Partenariato transpacifico : Il Partenariato transpacifico ( TPP ) è un accordo volto a ridurre le barriere commerciali tra 12 delle nazioni che si affacciano sul Pacifico . L’accordo è stato firmato dagli Stati Uniti, ma non è stato ratificato dal Congresso. A gennaio, Trump ha firmato un ordine esecutivo per ritirarsi da ulteriori negoziati sul trattato, promettendo di sostituirlo con una serie di accordi bilaterali.
• Cina : il presidente sostiene che la Cina stia sopprimendo il valore della propria valuta, lo yuan, in modo da ottenere un vantaggio nelle esportazioni. In realtà, dal 2008 al 2010, la Cina è restata ancorata al dollaro, mantenendo il valore dello yuan inferiore ad esso, ma ora il governo sta intervenendo per rialzarlo. Inoltre, le riserve di valuta del Paese sono diminuite dai circa $4 trilioni del marzo 2014 a poco più di $ 3,1 trilioni in ottobre. Ciononostante, Trump ha promesso di imporre tariffe fino al 45% sulle esportazioni verso la Cina.

Infrastrutture

Trump ha promesso di aumentare gli investimenti nelle infrastrutture . Il muro che ha promesso di costruire lungo il confine con il Messico è uno dei suoi progetti più importanti. Il presidente ha stimato il suo costo tra i $ 5 miliardi ei $ 10 miliardi, mentre il leader della maggioranza in Senato, Mitch McConnell, e altre analisi indipendenti e hanno stimato il costo sui $ 25 miliardi. Trump, inoltre, insiste sul fatto che il Messico rimborserà gli USA per il suo costo. Oltre al muro di confine, Trump vuole incentivare altri progetti, tra cui miglioramenti alla rete elettrica e alle telecomunicazioni, nonché riparazioni di autostrade, ponti, porti, aeroporti e condotte .

Sanità

Trump ha promesso di revocare e sostituire l’ Affordable Care Act, conosciuto come Obama care . Grazie ad esso circa 20 milioni di persone hanno un’assicurazione, ma questo sistema fatica a funzionare efficientemente, dal momento che si basa sulla competizione tra gli assicuratori e che tale competizione è diminuita . Trump non è stato molto chiaro su cosa rimpiazzerà l’ Obama care. Durante la campagna ha proposto misure come: finanziare Medic aid, permettere agli assicuratori di vendere oltre i confini di stato e ai pazienti di detrarre i premi assicurativi dalla dichiarazione dei redditi, nonché di scegliere tra le cure mediche economicamente più vantaggiose.

Energia

In maggio, Trump ha affermato di voler rinegoziare l’ accordo di Parigi, un trattato che punta a limitare la temperatura media globale al disotto di 2 gradi celsius in più rispetto ai livelli preindustriali . Ciononostante, dal momento che gli USA rappresentano il 20 % delle emissioni globali di CO2, sarebbe complicato per gli altri Stati raggiungere il loro obiettivo senza il contributo degli USA . I dirigenti di Germania, Francia e Italia sostengono che l’accordo non sia negoziabile, mentre Cina e India hanno dichiarato di mantenere il loro impegno nei confronti dell’ accordo . Inoltre, siccome ci vorrebbero quattro anni per ritirarsi, è probabile che l’accordo di Parigi diventi una questione di dibattito durante le prossime elezioni presidenziali . In più, i piani di Trump comprendono l’abrogazione del Clean Power Plan, ideato per ridurre, entro il 2030, le emissioni di CO2 del 32 % al di sotto dei livelli del 2005, poiché questo aumenterebbe i salari di $30 miliardi nel corso di sette anni . La revoca abolirebbe le restrizioni alle emissioni di CO2 imposti alle centrali elettriche dall’ amministrazione Obama . Scott Pruitt, capo dell’agenzia per la protezione dell’ambiente, ha recentemente firmato una proposta per revocare la legge, che, tuttavia, potrebbe richiedere mesi prima di entrare in vigore. In aggiunta, Trump ha promesso di “ eliminare i miliardi di dollari con cui vengono finanziati i programmi dell’ ONU per il cambiamento climatico e di usare questo denaro per riparare le infrastrutture ambientali e idriche americane ”, nonché di dare il via a ulteriori perforazioni sul suolo di proprietà federale. Inoltre si teme che possa ridurre gli investimenti nel campo delle fonti di energia rinnovabili .

Politica monetaria

Nonostante i tassi di interesse vengano stabiliti dalla Banca Centrale Americana, la Federal Reserve, e non dal governo, durante le elezioni si temeva che la vittoria di Trump potesse minare la sua indipendenza . La Fed ha il compito di favorire l’ occupazione e di mantenere stabili i prezzi . Ad eccezione di questi requisiti, tuttavia, essa è indipendente, il che significa che non deve cercare l’appoggio del governo per cambiare politica monetaria . Dal momento che Trump ha affermato che la Fed sta agendo politicamente e che avrebbe appoggiato gli sforzi per ridurne i poteri, alcuni si sono detti preoccupati circa la possibilità di un tentativo da parte di Trump di limitare l’indipendenza della politica monetaria come anche altri presidenti hanno fatto in passato .

Ad oggi possiamo constatare un distacco tra le prestazioni dei mercati finanziari e quelli reali . Mentre i mercati azionari continuano a raggiungere nuovi livelli, la crescita media dell’economia americana è stata solo del 2 % nella prima metà del 2017, più lenta rispetto alla presidenza Obama . Durante i primi tre mesi del 2017, 533.000 persone hanno trovato lavoro, ma si tratta del totale più basso dal 2011 per un trimestre gennaio – marzo. L’inflazione è bassa e i profitti aziendali sono in aumento . Valutazioni di mercato elevate prodotte da un entusiasmo irrazionale non riflettono la realtà economica.

Fonti:

- www.investopedia.com
- www.thebalance.com
- www.theguardian.com
- www.fortune.com
- www.forbes.com
- www.bbc.com
- www.nytimes.com

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PARTENARIATO EUROMEDITERRANEO e PEV

DAL PARTENARIATO EUROMEDITERRANEO ALLA PEV

partenariato-euromediterraneo
DAL PARTENARIATO EUROMEDITERRANEO ALLA PEV: L’UE A SOSTEGNO DEI PAESI TERZI MEDITERRANEI

Autrice: Elisa Mariani

Ottobre 2016

Nel novembre del ‘95 con la Dichiarazione di Barcellona veniva istituito il partenariato euromediterraneo, ovvero un accordo globale che ancora oggi vede il coinvolgimento dell’Unione Europea e dei paesi del Sud del Mediterraneo, al fine di garantire all’area in questione il benessere sociale, politico ed economico attraverso un dialogo e una collaborazione costruttivi tra le parti.

I paesi del Sud del mediterraneo o Paesi Terzi Mediterranei (PTM) che hanno aderito a tale accordo sono: Israele, Turchia, Libano, Siria, Malta, Marocco, Cipro, Giordania, Palestina, Algeria, Tunisia ed Egitto. L’invito è stato rivolto anche alla Libia, che attualmente ha lo status di osservatore, e alla Mauritania in quanto membri dell’Unione del Maghreb Arabo (UMA) insieme a Marocco, Tunisia ed Algeria.

A livello politico gli accordi euromediterranei di associazione e il dialogo tra le parti hanno permesso di costruire una base comune per l’osservanza dello stato di diritto e dei principi democratici, delle libertà fondamentali, dei diritti dell’uomo e della lotta contro il terrorismo, nonché dell’abolizione delle armi di distruzione di massa.
In ambito socio-culturale le maggiori innovazioni apportate riguardano l’incentivazione del dialogo interreligioso, della lotta contro l’immigrazione clandestina, dell’uso dei mass media come strumento di comunicazione interculturale e dell’istruzione volta al rispetto delle differenti identità culturali .

Altro tassello importante è il partenariato economico e commerciale, che mira all’istituzione di una zona di libero scambio (ZLS) nell’area del Mediterraneo, volta all’abbattimento degli ostacoli commerciali e delle barriere doganali che impediscono la libera circolazione delle merci, lo scambio dei prodotti agricoli e dei servizi. Secondo le stime dell’Institut de la Méditerranée la ZLS apporterà un incremento del traffico marittimo pari al 16% all’incirca rispetto al trend abituale. L’ambizioso obiettivo dello sviluppo stabile e sostenibile dei PTM che l’accordo si prefigge, passa anche per il supporto da parte dell’UE alla crescita del settore privato e degli investimenti, delle nuove tecnologie , dell’economia di mercato e alla lotta contro la povertà nei paesi interessati.

Inoltre, con la dichiarazione di Barcellona l’Unione Europea si è impegnata per lo stanziamento di fondi a favore dei PTM attraverso il supporto della Banca Europea per gli investimenti.
Altre iniziative importanti sono costituite dalla promozione delle piccole e medie imprese, dalla compartecipazione delle regioni dei PTM, dall’eliminazione degli ostacoli agli investimenti esteri diretti da parte dei PTM, dalla sostenibilità ambientale e dal ruolo chiave della donna all’interno dell’economia.

Tuttavia, l’attivazione e il completamento della zona di libero scambio previsti per il 2010 hanno avuto dei rallentamenti dovuti soprattutto all’ inattività e mancanza di concretezza e attuazione dei propositi del partenariato euromediterraneo. Per ridare nuovo slancio a quanto promesso nel 1995 con la Dichiarazione di Barcellona, nel 2002 l’Unione Europea ha istituito il FEMIP, il Fondo Euro Mediterraneo di Investimento e Partenariato per finanziare progetti che coinvolgono le piccole e medie imprese e le aziende del settore turistico o delle infrastrutture nei PTM, e più in generale tutti i progetti aventi come obiettivo il progresso economico e sociale dei paesi a Sud del Mediterraneo. A seguito dell’allargamento dell’UE, nel 2004 la stessa Unione ha dato vita alla Politica Europea di Vicinato (PEV) che ha visto nel 2005 la ratifica dei Piani di Azione ad essa correlati con Israele, Palestina, Tunisia e Marocco. Nel 2007 è avvenuta la firma dei Piani di Azione con Egitto e Libano.

Inoltre, sempre a tale scopo, nel 2008 si ha avuto la creazione dell’Unione per il Mediterraneo, che tra le novità ha apportato la costituzione del Gruppo di lavoro sulla cooperazione industriale euro-mediterranea che vede la partecipazione di enti, associazioni d’impresa, organismi internazionali ed istituzioni dell’Unione Europea, con lo scopo di mettere in atto misure concrete idonee a realizzare quanto concordato ogni due anni nell’incontro tra i rappresentanti UE e i Ministri dell’Industria dei Paesi Terzi Mediterranei.

Negli ultimi anni, anche alla luce dei recenti sviluppi geopolitici dovuti in parte all’insorgere delle molteplici proteste scoppiate nei Paesi a Sud del Mediterraneo, i rapporti tra l’UE e i singoli PTM hanno subito diverse modifiche.
A partire dal 2012 sono iniziati i negoziati concernenti un possibile piano d’azione in Algeria in materia di sicurezza, misure anti- corruzione, ed energia, di cui il paese rappresenta uno dei maggiori produttori.

In Libia, dopo la fine del regime Gheddafi e la conseguente guerra civile, l’UE attraverso il supporto all’azione diplomatica svolta dalle Nazioni Unite, l’attuazione nel 2013 di una missione concernente il miglioramento nel controllo delle frontiere e la disponibilità a mettere a disposizione fondi dello Strumento di vicinato, sta dando il suo contributo nella creazione di uno Stato solido fondato sul principio di inclusione.

A beneficiare degli effetti della Primavera Araba è stato il rapporto con la Tunisia. Infatti dopo la rivoluzione dei gelsomini nel 2011, l’Unione Europea ha sostenuto economicamente e politicamente il processo di democratizzazione che ha portato ad una nuova costituzione e alla riuscita delle elezioni parlamentari e presidenziali nel 2014. A seguito di tali avvenimenti l’UE e la Tunisia hanno instaurato un partenariato privilegiato che prevede il rafforzamento della collaborazione politica ed economica tra le parti, passando per l’istituzione del partenariato per la mobilità di Marzo 2014 e per le trattive concernenti una zona di libero scambio globale avviate nel 2015.

Diversa sorte è toccata all’Egitto, che in seguito all’insorgere della rivoluzione inseribile nel quadro delle Primavere Arabe nel 2011, non ha avuto la stabilità politica necessaria effettuare i progressi auspicati dall’UE con il proprio supporto nella realizzazione delle riforme volte al benessere dell’Egitto sotto tutti i punti di vista.

Infine, il Marocco gode dal 2008 dello status avanzato nell’ambito della Politica Europea di Vicinato, volto al miglioramento della cooperazione tra le parti con un maggior sostegno da parte dell’UE nell’attuazione delle riforme di carattere politico ed economico del paese. Nel 2013 la collaborazione Ue-Marocco ha dato vita alla messa in atto del Piano di Azione PEV e al partenariato per la mobilità, ed è stata la prima nell’area del Mediterraneo ad avviare negoziati concernenti il rilascio facilitato dei visti e l’accordo di libero scambio.

FONTI ARTICOLO “DAL PARTENARIATO EUROMEDITERRANEO ALLA PEV: L’UE A SOSTEGNO DEI PAESI TERZI MEDITERRANEI” :

- europarl.europa.eu
- lenius.it
- eur-lex.europa.eu
- capitanata2020.eu
- asbl.unioncamere.net

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